Anni fa, ai tempi della
fotografia tradizionale, mi ero recato con mia moglie nel Parco Nazionale del
Gran Paradiso per eseguire dei servizi fotografici.
Un pomeriggio partimmo
da Eaux Rousses in Valsavarenche, con meta il vallone di Levionaz. Scopo dell’escursione
era cercare di fotografare gli stambecchi a distanza ravvicinata, quando
scendevano dai pendii in quota nel tardo pomeriggio.
Salendo per il comodo
sentiero, complici il peso dell’attrezzatura e la giornata tersa, ci fermammo
spesso per fotografare le innumerevoli sfumature del paesaggio della
Valsavarenche e senza che me ne
rendessi conto, i 10 rulli da 36 pose che improvvidamente mi ero portato,
diminuivano molto velocemente.
Giungemmo ai
casolari di Levionaz dove iniziava il vallone, secondo le
“dritte” dei guardaparco avremmo trovato gli stambecchi, obiettivo della nostra
“caccia”.
"Il vallone di Levionaz"
Dopo 3 ore dalla
partenza, (comprese le soste per fotografare), raggiungemmo il punto dove si
aggiravano gli stambecchi che, con nostra grande sorpresa, si lasciavano
avvicinare senza timore.
"In avvicinamento agli stambecchi"
Con calma preparai
l’attrezzatura e con orrore scoprii che avevo usato quasi tutti i rulli di
diapositive.
Me ne restavano due da
36 pose, li ricordo perfettamente due Kodak Ektachrome E200 Professional 5036.
Che fare?
Cominciammo a muoverci
con molta circospezione per avvicinare gli animali più belli, la fortuna era
dalla nostra parte, infatti a parte noi due, non vi erano altri “esseri umani”
ed eravamo in un vallone da sogno con circa 20-30 stambecchi che ci circondavano e pascolavano tranquilli
come fossero mucche.
In silenzio assoluto e
con movimenti estremamente cauti riuscimmo ad avvicinarci al branco, per certe
foto anche il 50mm era diventato una focale troppo lunga.
Avevo solo 72
diapositive a disposizione, selezionai con molta cura i miei soggetti,
aspettando decine di minuti perchè si mettessero nella posa giusta, poi clik
senza usare il winder per non spaventarli.
E avanti così per un
tempo indefinito, centellinando ogni scatto fotografico.
Io mi gratto la schiena
Molto meglio mangiare
Giochiamo a nascondino?
D’un tratto mia moglie
notò un giovane stambecco e me lo indicò.
Era agilissimo elegante
e veloce, spiccava su tutti gli altri per le sue movenze, “danzava” sui sassi
e attraversava il vallone da un punto
all’altro “volando sulle rocce”
Eccola la mia “preda”,
ma come riuscire ad avvicinarlo per fotografarlo? Mi ero talmente concentrato a
osservare i movimenti dell’animale che non mi ero reso conto che la luce stava
calando e avevo ancora 4 diapositive a disposizione, le ultime.
Decisione immediata
lasciai borsa, zaino e moglie sopra un sasso e partii velocissimo ma cauto, al
suo inseguimento con un avvicinamento tattico sottovento. Allora di fiato ne
avevo da vendere!
Portai con me solo la
Canon A1 con il 300mm. e il monopiede. Cercai di avvicinare l’animale il più
possibile e con appostamenti strategici fra i massi gli arrivai a 20-25metri.
Il giovane stambecco
bellissimo nella scarsa luce del tardo pomeriggio era fermo fra le roccie che si grattava.
Mi concesse il tempo di
appostarmi e di mettere a fuoco (l’autofocus non esisteva), poi si mosse
lentamente al rumore dello scatto fotografico e si girò verso di me.
"Mi guardava senza timore"
Le ultime 2 diapositive
le scattai con calma in assoluta tranquillità, ebbi ancora molta fortuna una
risultò quella che volevo, quella che avevo in “testa”.
"La foto che volevo"
Spostamento "tattico"
Appoggiai la macchina fotografica a terra e
continuai a osservare l’animale che si era spostato di pochi metri.
A quel punto lo
stambecco immobile iniziò a fissarmi con una incredibile intensità sembrava avesse capito che non avevo più
“munizioni”.
Stemmo entrambi li ad
osservarci per dei lunghi indimenticabili minuti, sentivo la forza del suo
respiro ed ero rapito dal suo sguardo, mi stava fiutando e studiando!
Mi ricordo che un
pensiero mi attraversò la mente, straordinaria la caccia fotografica
“cacciatore e preda” si stavano osservando entrambi “vivi” e con l’adrenalina
che scorreva nelle vene per l’emozione.
D’un tratto lo
splendido animale chinò il capo come per un cenno di saluto, poi con una dimostrazione di potenza fisica
inimmaginabile per un uomo, “divorò” in pochi minuti 300 metri di dislivello, e
sparì in un valloncello laterale.
Era vivo e ancora
libero di scorrazzare per le sue montagne, che emozione e che soddisfazione
averlo fotografato.
Ho ripensato, eseguendo
le scansioni delle diapositive, a quegli attimi di intensa emozione che mi
porto ancora dentro e che spero siano percepibili nelle fotografie pubblicate.
Lo scopo del mio lavoro e delle mie
fotografie è cercare di “suscitare emozioni”, in me che ho il privilegio di farle e in chi ha la pazienza
di guardarle.
Carlo Bazan
Note per gli
appassionati di fotografia:
All’epoca il mio
corredo fotografico “leggero” per questo tipo di “escursioni” era composto da Canon
F1+winder, Canon A1+winder, ottiche: FD24mm f.1.4L - FD50mm
f.1.2L - FD100mm f.4.0 Macro
- FD300mm f.4.0L + accessori e pellicole.
Una curiosità,
nonostante ora utilizzi le digitali Nikon D800 e Nikon D700 con corredo ottico adeguato, fotografo spesso e volentieri con il vecchio corredo Canon, soprattutto per utilizzare l’FD 300mm f.4.0L,
a mio modesto parere uno dei più bei obiettivi da 300mm. mai costruiti.
Le scansioni delle
diapositive presenti nell’articolo sono state eseguite con Nikon Super Coolscan
5000 ED.
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previa richiesta di autorizzazione (che sarà concessa) a questo indirizzo carlo@multimediabazan.it
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